Italia affronta la sfida della plastica monouso con normative e innovazioni per ridurre l’inquinamento e promuovere il riciclo.
Coste italiane tra le più belle al mondo. Eppure, su 33 spiagge di 12 regioni, vi è una media di 705 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia lineare: oltre la metà di questi rifiuti è costituita da prodotti in plastica monouso (fonte: indagine Beach Litter di Legambiente – link). La diseducazione delle persone fa la sua parte, ma le vere cause vanno cercate più a monte, così come le soluzioni.
La protezione del mare e dell’ambiente dall’inquinamento da plastica continua a essere un’emergenza, sulla quale a livello globale si stanno portando avanti politiche con risultati, per il momento, molto contenuti. Secondo indicazioni emerse a fine aprile nel corso del quarto incontro a Ottawa per il Trattato globale sulla plastica, ogni anno si producono circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica a livello mondiale, ma solo il 10% di questi viene riciclato. Si acquistano un milione di bottiglie di plastica al minuto e si utilizzano fino a 5.000 miliardi di sacchetti di plastica all’anno. La metà della plastica prodotta è monouso. Proprio per questo motivo, sul fronte normativo i cosiddetti ‘single-use plastic ban’ sono un tema centrale nelle politiche ambientali di un numero crescente di Stati.
La risposta europea, la Direttiva SUP, la posizione italiana
L’Unione europea ha scelto un ruolo da frontrunner nelle politiche green a livello mondiale, un ruolo responsabile, ma scomodo.
Con la Direttiva SUP del 2019 (Single Use Plastics), l’UE interviene vietando e disincentivando la produzione e la commercializzazione di alcuni oggetti monouso in plastica. La Direttiva SUP afferma esplicitamente che gli unici polimeri esclusi dal divieto sono quelli naturali non modificati chimicamente, escludendo quindi bioplastiche e plastiche vegetali modificate chimicamente.
Nella stessa direzione, la Plastic Tax, che prevede un’imposta di 45 centesimi di euro per chilogrammo di plastica utilizzata per la creazione di oggetti monouso (detti Macsi), colpendo produttori e commercianti. I quali hanno evidentemente portato avanti le proprie rimostranze. Infatti, in Italia la plastic tax ancora non si applica, ma è rinviata al 2026.
È chiaro che i Governi europei devono soppesare bene le leve economiche per sostenere una transizione che non vada a pesare sui consumatori e che incentivi materiali innovativi, sostenibili, alternativi alla plastica e la nascita di nuove filiere circolari.
È chiaro anche che, per l’Italia, che conta realtà industriali leader a livello mondiale nelle bioplastiche, sia particolarmente difficile non tener conto dell’impatto di questa transizione in tale contesto.
C’è, tuttavia, un aspetto da considerare: le stime dicono che la produzione di plastica triplicherà entro l’anno 2060, e il riciclo, per ora piuttosto basso a livello globale, non è la soluzione principale.
Lo sviluppo sostenibile chiede un grande passo indietro alla produzione della plastica, bisogna uscire dal loop, puntando su ricerca e sperimentazione.
La procedura d’infrazione della Commissione Europa contro l’Italia
Il nostro Paese, con il DL 196/21, ha recepito la direttiva europea ‘dicendo addio alla plastica monouso’, così titolavano i media.
In realtà, dopo un’accesa negoziazione tra governo, commissione europea e parti sociali, il DL 196/21 escludeva dal divieto i prodotti biodegradabili o compostabili con almeno il 40% di materia prima rinnovabile, considerati ‘alternative sostenibili alle pratiche tradizionali, da utilizzare per una rapida transizione verso l’economia circolare’.
A tre anni di distanza, la Commissione Europea, lo scorso maggio, ha notificato all’Italia l’avvio di una procedura d’infrazione per il “mancato recepimento pieno e corretto della Direttiva sulla plastica monouso (Direttiva UE 2019/904)” e la “violazione degli obblighi previsti dalla Direttiva sulla trasparenza del mercato unico (Direttiva (UE) 2015/1535)”. Quest’ultima contestazione riguarda più che altro le norme procedurali, effetto collaterale del braccio di ferro tra Governo italiano e Commissione UE su questo tema. (fonte: https://ec.europa.eu/
Come tutte le Direttive UE, anche la SUP è vincolante negli obiettivi da raggiungere e lascia liberi i governi nazionali di scegliere come recepire e attuare nei propri confini la direttiva stessa. L’obiettivo della SUP è “di prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare quello marino”. In questo caso specifico, la Commissione ha ritenuto che il Governo italiano non sia stato efficace nel trasporre completamente e correttamente le disposizioni chiave della Direttiva sulla Plastica Monouso nella legislazione nazionale. Da capire, adesso, quali saranno le evoluzioni: il governo dovrà giustificare entro i prossimi due mesi il suo operato o raddrizzarlo. In assenza di risposta, si passerà alle fasi successive della procedura, che può raggiungere la Corte di Giustizia Europea e l’imposizione di pene pecuniarie.
La plastica negli imballaggi in Italia
Un altro settore protagonista di una radicale trasformazione è quello degli imballaggi, in cui fino a oggi plastica e carta hanno regnato sovrani. Con la differenza che la carta si degrada facilmente e, se arriva da foreste certificate o da riciclo, il suo fine vita è meno problematico. Intanto, gli imballaggi aumentano: i cambiamenti dei nostri stili di vita negli ultimi anni (acquisti online, consegne a domicilio, consumo di prodotti da asporto) non sono stati a impatto zero: Eurostat stima che in UE ogni persona ‘produca’ quasi 40 chili di rifiuti da imballaggio plastico.
Cresce anche la quantità riciclata, certo, l’Italia è campione europeo in questo, dicono le statistiche nazionali, siamo già due punti sopra l’obiettivo del 70% fissato dall’UE per il 2030. Tuttavia, nonostante questi risultati positivi, l’Italia può fare ulteriori passi avanti nel riciclo di qualità e il rafforzamento dei mercati delle materie prime seconde, per ridurre il consumo di materie primarie. Questo potrebbe avvenire attraverso politiche di incentivazione e sostegno alle imprese che operano davvero in filiere di simbiosi industriale e circolari, che innovano, puntando su nuove formule in grado di garantire l’alta qualità del riciclo. Il limite al riciclo è il fatto che gli imballaggi tradizionali sono compositi, separarli è spesso una missione impossibile, per il consumatore e per l’industria. Il packaging sostenibile, che è fondamentalmente in carta o cartone, deve essere prima di tutto completamente riciclabile.
Ma fino a oggi il rivestimento utilizzato per renderlo funzionale a diversi usi, soprattutto nel food packaging, era plastico. Con questo tipo di rivestimento la carta non può essere riciclata nella carta. Servono nuovi rivestimenti.
Cosa aspettarci dal PPWR
La storia della PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation) inizia nel 2015 con la Direttiva 94/62/EC (PPWD – Packaging and Packaging Waste Directive) che promuove le ambizioni europee di un modello economico sostenibile e circolare. Uno sforzo fatto di slanci ed equilibri durato dieci anni, che anche nella sua versione di regolamento approvato nei mesi scorsi è una soluzione di compromesso che lascia spazi di miglioramento: gli obiettivi di riduzione degli imballaggi (soprattutto quelli in plastica) a cui si è giunti sono niente di più che il 5% entro il 2030, 10% entro il 2035 e 15% entro il 2040.
Tuttavia, ha il vantaggio di essere un regolamento, quindi applicabile direttamente negli Stati, in modo armonizzato. Ha il vantaggio di introdurre limitazioni ai materiali compositi e divieti come l’over-packaging, l’utilizzo di materiali “inquinanti eterni”, i PFAS; e principi e linee guida imprescindibili come l’eco-design. E, soprattutto, ha il vantaggio di essere leva di innovazione.
Definendo chiari obiettivi di riciclabilità (per esempio, 75% per carta e cartone entro il 2025 e 85% entro il 2030), la PPWR spinge il mercato a cercare velocemente soluzioni, da una parte per innovare e dall’altra per sostituire urgentemente ciò che nel giro di pochi mesi non potrà essere più messo in commercio. Queste sfide sono una grandissima opportunità per un’azienda come Qwarzo, perché il nostro rivestimento minerale a base di silice, completamente privo di plastica, permette alla carta addirittura di superare questi standard, promuovendo la mono materialità che è essenziale per un riciclo di alta qualità. Il nostro Paese vanta delle competenze fortissime sul riciclo e filiere altrettanto forti nella carta e nel packaging: l’occasione del PPWR è per le aziende di questi settori di non fermarsi a vantaggi già acquisiti ma aprirsi all’innovazione, collaborando con realtà come Qwarzo, per essere i leader del packaging sostenibile a livello mondiale.
* Qwarzo è una società innovativa che lavora su una nuova generazione di materiali ad alte prestazioni e caratteristiche di sostenibilità avanzate e nature-based frutto di oltre 20 anni di ricerca scientifica e sviluppo di processi. Il suo prodotto di punta, Qwarzo®, è un rivestimento a base di silice che può essere utilizzato per sostituire plastica e film plastici su carta, tessuto, metallo e altri supporti. Grazie alla tecnologia proprietaria, l’azienda ha realizzato un coating minerale a base di silice che funzionalizza un imballaggio in carta (FSC®, PEFC®) e lo rende resistente all’umidità, ai grassi, ai gas e alla temperatura.
Un rivestimento privo di plastica, che non altera la riciclabilità del suo supporto, che quindi previene il rilascio di sostanze chimiche dannose e di microplastiche come può avvenire nelle altre tipologie di imballaggi, ed è quindi sicuro per il consumatore. Nello specifico, Qwarzo® va a rivestire le fibre di carta aumentandone la resistenza e le performance. Queste proprietà, conferite non dalla plastica, permettono alla carta di “sviluppare” un’armatura naturale. La carta risulta, quindi, più robusta, resistente ai grassi, all’acqua e al calore; con tale processo non viene alterata in alcun modo la riciclabilità e la compostabilità del supporto e questo consente ai prodotti rivestiti con Qwarzo® di essere tranquillamente gettati nella carta e/o nell’umido.